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OPUS TESSELATUM E OPUS SECTILE: IL MOSAICO DELLA DOMUS DI VIA VARRONE AD ASTI

Diverse sono le testimonianze di domus che l’antica Asti ci ha trasmesso. Queste erano in età romana le abitazioni urbane utilizzate dai cittadini benestanti, i quali sceglievano per le proprie case comfort ancora oggi invidiabili. Le comodità si accompagnavano ad ambienti riccamente decorati: le stanze potevano infatti essere abbellite con affreschi su pareti e talvolta anche sui soffitti, mentre i pavimenti venivano rivestiti con tecniche diverse e spesso molto pregiate: cocciopesto, piastrelle di terracotta, preziosi rivestimenti pavimentali in marmo detti sectilia, mosaici. Quest’ultima tipologia è nello specifico un disegno creato accostando piccole tessere di vari materiali come marmo, pietra, pasta vitrea e conchiglie, disposte a formare particolari figurazioni.

Fra le domus di Asti portate alla luce ve n’è una che si distingue per la rarità del tappeto musivo che conserva: la Domus romana di Via Varrone. Questa abitazione si data al I sec d.C. e oggi trova posto nel seminterrato della casa per anziani intitolata a Canuto Borelli, illustre pittore astigiano.

Il tappeto astigiano misura 3×1,70 m. ed è a fondo bianco arricchito con figure di pesci, ramoscelli e con l’inserimento di formelle rotonde, rettangolari e romboidali in marmo colorato; le figure centrali sono poi delimitate da una cornice a spina di pesce e treccia.

È questo un raro esempio in ambito piemontese dell’utilizzo di due tecniche in uso presso i romani, l’opus tesselatum che si otteneva impiegando tessere di piccole dimensioni in pietra e marmo colorato, tagliate in modo regolare, e l’opus sectile, un intarsio ottenuto utilizzando marmi policromi e pietre dure.

Arte musiva: la tecnica

Se è noto che i Romani facessero largo uso del mosaico, poco si sa invece sulle origini del termine e stabilirne con precisione la provenienza non è semplice. L’uomo decora infatti da sempre e nei modi più vari architetture e suppellettili tramite colori e pietre naturalmente colorate. Le attestazioni di pavimenti decorati interni ad edifici sono presenti già in età molto antica nella zona mediterranea, ma nella Grecia di età classica e in seguito presso i Romani questa tecnica vedrà largo uso e raffinazione.
Tolto il mistero legato al nome si hanno dati più certi relativi alla resa e alla tecnica, in virtù dei molti ritrovamenti archeologici e delle testimonianze scritte a noi pervenute. Plinio il Vecchio (scrittore romano del I secolo d.C.) e Vitruvio (trattatista romano di architettura, del I secolo a.C.) spiegano infatti che per comporre questo tipo di decorazioni si stendevano in sequenza tre diversi strati:

  • lo statumen, uno strato di ciottoli o materiale litico di medie o grosse dimensioni, disposto a secco e se possibile per taglio, in modo da assicurare il drenaggio dell’acqua
  • il rudus, composto da schegge di pietra, calce e sabbia
  • il nucleus, uno strato di cemento composto cocciopesto e calce

A seguito della stesura dei tre stati se ne poneva un’ulteriore in cemento; al di sopra potevano trovare infine posto le tessere, seguendo un disegno preparatorio. I riscontri archeologici presentano tuttavia frequenti deroghe ai principi vitruviani, dovute molto probabilmente alleesigenze della committenza, alla disponibilità stessa dei materiali utili alla costruzione o anche alle caratteristiche geomorfologiche del sito.

Il mosaico contemporaneo

Ai giorni nostri questa antica e raffinata tecnica è ancora utilizzata e, anche grazie alla varietà dei nuovi materiali e dei colori oggi a disposizione, rappresenta una forma artistica sempre più popolare, utilizzata in molteplici contesti e scopi come mezzo di diffusione di messaggi sociali e culturali.

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